La Cina dimezza i dazi sulla moda. Italia primo produttore di lusso

 

Orderly trade»: un commercio mondiale che segua regole uguali per tutti e sia, come evoca l’avverbio inglese, ordinato, pulito, senza zone grigie. Di questo vuole essere il paladino Xi Jinping, presidente (a vita) della Cina, secondo Armando Branchini, vicepresidente di Fondazione Altagamma. Prima di presentare i dati del Monitor sul mercato dei beni di lusso personali elaborato con Bain&Company, Branchini ha anticipato un’importante decisione di Pechino: «Dal 1° luglio i dazi imposti sull’importazione dall’Europa di prodotti come abbigliamento, accessori, complementi d’arredo, verranno dimezzati. Al momento, a seconda della categoria esatta, i dazi sono tra il 15,7% e il 19 per cento. Ridurli della metà significa avvicinarli molto a quelli che Bruxelles impone alla Cina. Orderly trade, appunto».

È dal 2004 che Altagamma chiede a Pechino un allineamento con i dazi imposti dall’Unione europea, ora l’obiettivo sembra raggiunto. L’associazione riunisce oltre cento eccellenze di dieci settori di «bello e ben fatto in Italia» (espressione che i vertici di Altagamma preferiscono alla parola lusso): dalla moda e design alla gioielleria, dall’alimentare e automotive al wellness, passando per ospitalità ed enogastronomia. Tutti settori che si rivolgono al mercato globale dei beni di lusso personale, che Fondazione Altagamma, nata nel 1992, e Bain&Company monitorano da almeno dude decenni.

I primi mesi del 2018 hanno fatto alzare le stime per l’intero anno, migliorando quelle annunciate alla fine dello scorso anno, in occasione della presentazione dei dati del 2017. Già molto positivi, pur se in uno scenario che Claudia D’Arpizio, partner di Bain, definisce «new normal». Sono archiviate infatti le crescite a due cifre, il mercato globale aumenta sempre, ma a ritmi considerati più sani e sostenibili. «Il 2017 si era chiuso in crescita del 5% a 262 miliardi di euro, per il 2018 prevediamo un aumento tra il 6% e l’8%, che porterà il totale a 281 miliardi – ha spiegato l’analista –. Considerando un tasso medio annuo di crescita del 4-5% da qui al 2025, in sette anni arriveremo a sfiorare i 400 miliardi».

La crescita a doppia cifra in realtà c’è ancora, ma riguarda solo la Cina, dove gli acquisti di beni di lusso cresceranno tra il 20 e il 22 per cento. Senza il possibile effetto dazi, questo porterà la quota del mercato cinese sul totale globale circa al 10% (era l’8% nel 2017). Ma la percentuale triplica (32% nel 2017, quasi certamente più alta nel 2018) se si considerano gli acquisti da parte di cinesi nel mondo.Una “doppia lettura” che spiega molto anche del nostro Paese: nel 2017, sempre secondo Bain, Europa e Americhe assorbivano ciascuna il 33% degli acquisti di lusso, guardando però alla nazionalità degli acquirenti, si scende al 23% per gli americani e al 18% per gli europei.

Negli ultimi due anni il Monitor Altagamma-Bain non segmenta più i singoli mercati europei, ma nel presentare i dati 2014 e 2015 l’Italia era stata descritta come terzo «hub commerciale» del lusso, perché qui vengono fatti la maggior parte degli acquisti di turisti extra Ue. Non solo: si calcola che tra l’80 e il 90% dei prodotti di lusso sia made in Italy, anche se prodotto per conto di aziende o gruppi francesi, britannici o americani, oltre che italiani.

Il taglio dei dazi favorirà quindi chiunque produca in Italia ed esporti in Cina, ma che effetti avrà sul turismo finora motivato (anche) dallo shopping? «Nel 2015alcuni prodotti di lusso in Cina si pagavano fino al 75% in più rispetto all’Europa – spiega Claudia D’Arpizio –. Differenziali del genere giustificavano un volo intercontinentale e a comprare erano sia singoli sia persone che poi magari rivendevano borse, scarpe e accessori in Cina con forti guadagni. Una zona grigia di mercato che potrebbe quasi azzerarsi: un differenziale intorno al 20%, che comprende i dazi e i costi aggiuntivi che un marchio deve sostenere per trasportare e distribuire in Cina, non giustificano più un viaggio a Milano, Roma o Parigi».

Branchini spiega che la decisione di Xi Jinping si inserisce nella complessiva strategia di far aumentare i consumi locali, non soltanti di quelli di beni di lusso. «In fondo per le aziende italiane di Altagamma l’importante è vendere i rispettivi prodotti: l’eventuale calo a Milano, Firenze, Roma o Venezia verrà compensato dall’aumento a Pechino, Shanghai e nelle altre megalopoli cinesi. Il dato importante è che l’interesse per il made in Italy continua a crescere, specie tra i Millennials (i nati dopo il 1980)».

I flussi turistici però restano strategici, vista la scarsa propensione all’acquisto di italiani, francese e, nel 2018, persino dei tedeschi, ricorda Claudia D’Arpizio. Sarà importante “compensare” un eventuale diminuzione dei cinesi con altre nazionalità. E qui viene qualche dolente nota: se Xi Jinping sembra mirare all’orderly trade, Donald Trump ha imboccato la strada del protezionismo e l’Europa continua ad avere un atteggiamento ostile alla Russia di Putin. Anche a Mosca stanno diminuendo le differenze di listini per i marchi del lusso. Anche a Mosca continueranno a comprare italiano, ma nel medio termine il calo dei turisti cinesi e russi verso l’Europa non sarebbe comunque una buona notizia.

 

 

Fonte : http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-06-07/la-cina-dimezza-dazi-moda-italia-primo-produttore-lusso-182153.shtml?uuid=AEj7VM2E&refresh_ce=1