Le Hogan, la Speedy 30 di Louis Vuitton e, appunto, l’Original Arctic Parka più amato nel nostro Paese, il famoso Woolrich. Talmente diffuso e indossato, che molti pensano si tratti di un capo prodotto in Italia, dimostrando così di ignorare la lunga storia di John Rich e dei suoi figli, a cui si deve la fondazione della più antica azienda americana di abbigliamento outdoor.
John Rich, tanto per rimanere in tema di fraintendimenti, manco è americano: figlio di un tessitore di lana, emigra negli Stati Uniti da Liverpool nei primi dell’Ottocento. Dopo essersi inizialmente stabilito a Philadelphia, si trasferisce nella parte più centrale e rurale della Pennsylvania, dove – sfruttando la sua conoscenza dell’industria della lana – affitta e gestisce un piccolo lanificio a Mill Hall. Lavora parecchio, John Rich, e con i risparmi accumulati si sposta poi nella vicina comunità di Plum Run: insieme al socio Daniel McCormick apre il suo primo lanificio e nel 1830 fonda il marchio Woolrich.
La ridente Plum Run, grazie alle zone montuose circostanti che pullulano di boscaioli, taglialegna e cacciatori, si dimostra essere una specie di miniera d’oro. Rich ogni giorno carica su un carro i suoi tessuti di lana, le calze, i filati e si reca nei campi di legname locali, vendendoli agli abitanti della zona e alle loro famiglie. Gli inverni della Pennsylvania d’altronde non vengono ricordati per la mitezza, e i prodotti a marchio Woolrich si rivelano perfetti per tenere al caldo i lavoratori.
Avendo bisogno di una scorta d’acqua sufficiente per il loro stabilimento, Rich e McCormick decidono di spostare l’attività a Chatham’s Run, nella contea di Pine Creek, nel 1834. La coppia qui compra 300 acri di terra, costruendo una segheria che avrebbe fornito legname a sufficienza per un nuovo lanificio e per le abitazioni dei dipendenti. Nel 1843 Rich acquista la partecipazione di McCormick nella Woolrich, e due anni dopo realizza una nuova fabbrica, che richiede però un netto incremento nel personale. Il vasto insediamento di dipendenti attorno ad essa genera così una municipalità ex-novo, ufficialmente riconosciuta come Woolrich, in Pennsylvania.
Il successo di Woolrich pare inarrestabile, e non viene spinto soltanto dalle necessità di coloro che lavorano all’interno dell’industria del legname, ma anche dalle contingenze storiche. Il brand infatti fornisce le coperte di lana essenziali per la sopravvivenza di molti soldati dell’Unione impegnati nella Guerra Civile Americana, e continuerà poi producendo l’abbigliamento delle truppe statunitensi durante le due guerre mondiali. Parallelamente, il marchio si specializza in workwear per i lavoratori delle ferrovie nei primi del Novecento, inserendosi a pieno titolo nel mosaico della storia americana con il suo iconico plaid nero e rosso,sinonimo di una nazione in continua evoluzione.
Woolrich ha mantenuto la propria sede nell’omonima cittadina, in Pennsylvania, fino ad oggi. Nonostante una flessione negli anni Settanta e Ottanta, che ha visto l’azienda costretta a tagliare posti di lavoro negli Stati Uniti ed esternalizzare la maggior parte della produzione all’estero, il marchio non ha abbandonato le sue radici, producendo tuttora coperte, plaid e tessuti a marchio Woolrich Woolen Mill. I membri della settima e dell’ottava generazione della famiglia Rich rimangono coinvolti nella gestione del brand, cercando di volta in volta di rispondere adeguatamente e in maniera innovativa alle esigenze mutevoli dei clienti.
Da sempre legata al segmento outwear, Woolrich si è trovata a dover fronteggiare le richieste di un consumatore sempre più attivo, alla ricerca di attrezzature tecniche e abbigliamento resistente. Ed è per soddisfare tali necessità che inizia a utilizzare tessuti high-tech come Gore-Tex, Thinsulate e Cordura per migliorare le prestazioni della lana: in tal modo vengono mantenuti il comfort, la durata e la resistenza che avevano conquistato taglialegna e cacciatori, adattandoli però ai desiderata di una nuova generazione di clienti. Il segreto della longevità del brand risiede in una difficile armonia tra tradizione e progresso, e in due capi in particolare che l’hanno mantenuto in prima fila nell’outwear.
Sin dalla nascita, l’azienda ha abbracciato i pionieri americani – dai boscaioli e contadini che lavoravano la terra nelle condizioni più estreme, ai lavoratori che costruivano il gasdotto Trans-Alaska. Il suo primo successo sartoriale coincide con un indumento noto come ‘il gilet della ferrovia’: l’Utility Vest rappresenta appunto uno dei design più duraturi del brand, basato sui principi di comfort, durabilità, calore e semplicità.
Ma è negli anni Settanta che avviene l’introduzione dell’evergreen per eccellenza, l’Original Arctic Parka. In realtà, l’origine della parola è ben più antica: coniata dalla lingua inglese nel 17esimo secolo, indicava le pelli poste a strati e le pellicce indossate dagli abitanti delle Isole Aleutine. Le condizioni climatiche impervie dell’Oceano Pacifico settentrionale, al confine tra Nord America e Asia, richiedono un abbigliamento specifico per fronteggiare le avversità della neve, del vento e del freddo, così come le mareggiate e le pressoché incessanti gelate del Mare Glaciale Artico.
Col passare del tempo, il Parka si è fatto conoscere nel mondo per le sue caratteristiche e qualità: un giaccone lungo fino alle ginocchia, in grado di resistere alle temperature più rigide grazie all’imbottitura in piume e al cappuccio foderato in pelliccia. Il tessuto esterno, resistente all’acqua, rappresenta un ulteriore livello di protezione che non fa passare il freddo e mantiene il calore all’interno.
Il primo Arctic Parka di Woolrich viene prodotto nel 1972 per vestire le migliaia di operai americani arrivati in Alaska per costruire un grande oleodotto, il Trans Alaska Pipeline, esaudendo un bisogno primario: doveva essere la prima e la migliore linea di difesa contro temperature che arrivavano a toccare i 30 °C sotto zero.
Oggi l’Original Arctic Parka è un design inconfondibile firmato Woolrich, sostenuto dall’appeal duraturo di un capospalla caldo e ‘accogliente’, a dimostrazione di come il marchio sia riuscito a sfruttare la continua domanda di abiti sportivi, senza rinunciare allo stile.
«Ora siamo più orientati verso un ambito lifestyle», spiega il reparto di progettazione ad AnOther Magazine, «ovviamente utilizziamo ancora le ultime tecnologie e abbiamo la nostra speciale linea Goretex per condizioni climatiche estreme, ma offriamo anche outwear più casual, per un look più elegante o sporty-chic, ideale per la città».
A questo punto, la domanda è legittima: come ha fatto l’Original Arctic Parka a trovare uno zoccolo così duro di fan italiani? Ed è qui che entra in gioco la W.P. Lavori in Corso. Fondata a Bologna nel 1982 da Giuseppe e Cristina Calori, la W.P. Lavori in Corso è una piccola azienda familiare con un obiettivo ben chiaro: la ricerca e l’innovazione nel mercato outdoor.
Cristina, insieme al buyer Andrea Canè, parte per gli Stati Uniti a caccia prodotti poco noti – se non sconosciuti alla clientela italiana –ma uniti da una lunga storia, all’avanguardia e creati per durare nel tempo.
In America scoprono le Vans; i mocassini Desert Sons; i giubbotti in pelle Harley Davidson; le coperte Pendletoncon disegni navajo; il Barbour; le creme Kiehl’s Pharmacy; le camicie B.D. Baggies e, ça va sans dire, l’Arctic Parka Woolrich. Due anni più tardi, nel 1984, Woolrich comincia a collaborare con l’azienda bolognese, che ne diventa il distributore per l’Italia e l’Europa:
«Abbiamo acquisito il marchio nell’85 e, in seguito, anche la licenza (nel 1998, ndr.), che prevede una collaborazione attiva nel disegno dei capi» –racconta Cristina Calori– «in quel momento c’era un buco di mercato e il parka ha subito avuto un enorme successo».
Il famoso Arctic Parka diventa un fenomeno di costume e prende a spopolare non solo sotto ai portici del capoluogo emiliano: nel corso degli anni, attraverso il legame con W.P. Lavori in Corso, Woolrich apre una serie di negozi monomarca a Stoccolma, Cortina d’Ampezzo, Berlino, Sylt, Göteborg e Londra, tanto per citarne alcuni.
Il 2010 si chiude per la società bolognese con un fatturato di 110 milioni di euro, in crescita del 15% sul 2009; nel 2011W.P. apre un ufficio stile con una ventina di designer a New York, dove vengono messi a punto i nuovi modelli di Woolrich:
«è un modo per attrarre talenti americani»– spiega Andrea Canè, passato a direttore creativo di W.P. – «e per tenere d’ occhio un mercato che per noi, oggi, vale 6 milioni di dollari all’anno, ma su cui stiamo puntando molto».
Nel 2016 vede la luce Woolrich International: la società nasce dalla fusione di Woolrich Inc. e Woolrich Europe, di proprietà del gruppo W.P. Lavori in Corso, che controlla con una quota di maggioranza dell’80% la ‘nuova’ Woolrich, con sede legale a Londra.
Il segnale è forte: se nella moda sono– ahinoi –solitamente i marchi nazionali a finire nelle mani di player internazionali, spesso più forti e in grado di assorbirli, qui non avviene soltanto il contrario:
«In trent’anni di lavoro ne ho viste tante, di fusioni e acquisizioni, in ogni settore. Ma è la prima volta che mi capita un’operazione in cui il distributore acquisisce il controllo della casa madre. Ancor più eclatante che il primo sia europeo, anzi, italiano, e la seconda americana».
Paolo Corinaldesi – nominato Ceo di Woolrich International – commenta così la manovra: per la società nata dalla fusione si stima un fatturato 2016 da media impresa, con ricavi di 170 milioni di Euro.
Gli obiettivi sono ambiziosi:
«Il segmento dei capispalla per l’outdoor come parka e piumini sta vivendo un momento magico e noi abbiamo tutte le caratteristiche per sfruttarlo al meglio» – continua Corinaldesi. «Non solo: questo segmento è tra quelli a più alta marginalità dell’abbigliamento: da qui al 2020vorremmo arrivare a 266 milioni di fatturato, con una crescita media annua del 12% e i dipendenti passeranno da 300 a 500. A quel punto saremo pronti per lo sbarco in Borsa».
L’epopea, però, è ben lungi dall’avere un epilogo: nell’ottobre del 2017 entrano i giapponesi di Goldwin, chiamati a occuparsi del ramo outdoor della società (distribuito esclusivamente in Nord America) lasciando agli italiani quello più fashion.
«La nuova alleanza con Goldwin Inc., leader nell’abbigliamento tecnico outdoor, rappresenta per il brand un nuovo, decisivo passo in avanti verso l’accelerazione della sua crescita globale», si legge nella nota stampa. «Questa partnership punta a sviluppare una nuova collezione premium outdoor basata sulla tecnologia all’avanguardia di Goldwin. La linea Outdoor di Woolrich rappresenta un nuovo capitolo nella storia del marchio, con 187 anni di storia reinterpretati attraverso l’ottica di esperti giapponesi, per portare una rinnovata prospettiva sul mercato».
«Ho sempre rispettato la dedizione della Goldwin allo sviluppo di capi di abbigliamento high-tech», aggiunge il direttore creativo del brand, Andrea Cané. «La loro visione immaginativa e creativa e la loro incredibile attenzione alla funzionalità è ciò che li rende leader del settore. La nostra collezione, sviluppata in collaborazione con loro, sarà svelata in parallelo con gli sviluppi delle loro tecnologie».
Un anno dopo, lo scorso 22 ottobre, il ribaltone: W.P. Lavori in Corso cede la sua partecipazione in Woolrich International al fondo lussemburghese L-Gam, società d’investimento stabilita in partnership con la famiglia regnante del Liechtenstein, che ne acquisisce una quota di maggioranza. Restano i giapponesi di Goldwin, che aumentano la loro partecipazione in vista della finalizzazione di una nuova joint venture sugli altri mercati asiatici, con primo focus sulla Korea dall’autunno/inverno 2019.
«W.P. ha lasciato Woolrich a una strada di sicuro successo», fanno sapere dall’azienda. «L’uscita di W.P. permetterà a Woolrich International di seguire il suo processo di sviluppo internazionale e di realizzare il percorso verso la quotazione entro 5 anni. Contemporaneamente, W.P. potrà concentrarsi sui brand che ha in portafoglio come Barbour, Blundstone, Deus ex Machina, Palladium e B.D. Baggies e sul marchio di proprietà Barracuta, per cui sta sviluppando una distribuzione internazionale».
L’obiettivo, come evidenziato dal Direttore Creativo Andrea Canè, sono i Millennials:
«È il momento di ampliare le nostre capacità di attrarre un pubblico transgenerazionale–come già accade nel capospalla–anche nelle altre categorie che compongono il nostro ‘lifestyle’, focalizzandoci sulla generazione Millennials, molto attratta dai valori di comfort e durevolezza che hanno sempre contraddistinto il nostro storico brand».
«Siamo orgogliosi di questo accordo» ha dichiarato Paolo Corinaldesi, «si tratta di un passo importante per raggiungere gli ambiziosi traguardi che la società si è posta. La partnership con L-Gam sarà allo stesso tempo nel segno della continuità di sede e di management, ma con una forte spinta sull’accelerazione del business».
Business che oggi conta 32 negozi monomarca a livello globale e un giro d’affari di 180 milioni di Euro nel 2017.
In un panorama all’interno del quale sono le scelte di consumo della Generazione Y a dettare legge, l’operazione ha certamente un suo senso. I Millennials stanno d’altronde facendo la fortuna dello streetwear, e un’astuta rivisitazione stilistica – capace tuttavia di non cancellare il prezioso patrimonio di Woolrich – potrebbe portare il brand a esplodere su mercati e target finora secondari. L’unico dubbio è di natura forse più… antropologica. Chissà se, quando andremo a New York riusciremo ancora a riconoscere (e schivare, nel caso) quei turisti italiani con cui non vogliamo mischiarci.